Nel doppio anniversario del centenario della sua nascita e del settantesimo anno della sua morte, la XII edizione del “Festival per la legalità” ha omaggiato con due eventi tra loro complementari la breve e intensa esistenza di Rocco Scotellaro, «mentore» dell’associazione “È fatto giorno aps”.
Il convegno in pinacoteca “Michele de Napoli” e la performance teatrale nella campagna “Alle S.E.R.R.E.” della cooperativa sociale Zorba hanno approfondito a tutto tondo la figura di un giovane uomo originario di Tricarico, piccolo paese della Basilicata, che condensava al proprio interno la figura dell’intellettuale, del politico e del letterato.
La due giorni scotellariana ha attratto nella platea curiosi e personalità di rilievo, giunti anche dall’hinterland di Ruvo, Andria, Bisceglie e Trani. Una sorta di «festa civile», dunque, con una immersione totale nelle attività e nei pensieri di Scotellaro che hanno consentito di apprezzarne gli alti valori e di catturarne lo stato di umiliazione che ha dovuto affrontare.
Marco Gatto, ricercatore di filologia all’università della Calabria, e Alessandra Pigliaru, giornalista de “Il Manifesto”, nella serata di sabato 17 giugno, hanno tentato di «ripoliticizzare» la persona di Scotellaro, ossia «ristoricizzarla», emancipandolo dall’icona del mero poeta-contadino per restituire la sua militanza in tutta la sua complessità. La ricostruzione della vita di Scotellaro ha subito negli anni alti e bassi, a momenti di studio sono seguiti periodi di oblio. Ad oggi, invece, attraverso visite nei diversi archivi italiani, ci si sta spendendo per un lavoro di sistematizzazione degli scritti ancora inediti e della numerosa corrispondenza con emblemi del Novecento.
Nato nel 1923 da Francesca Armento, scrivana e sarta, e Vincenzo Scotellaro, calzolaio, Rocco ha frequentato tre licei classici, a Matera, a Potenza, e a Trento. A vent’anni ha scritto il suo primo romanzo breve, “Uno si distrae al bivio”, mostrando tecniche di scrittura del modernismo europeo che aspiravano a dotarsi di una propria autonomia. A soli ventitré anni, nel 1946, Rocco da candidato del partito socialista di unità proletaria ha vinto le elezioni amministrative, così da indossare la fascia tricolore di Sindaco di Tricarico.
Con una comunicazione efficace ed efficiente, Marco Gatto, alla prima presentazione del suo saggio a Terlizzi – “Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta” (Carocci editore) – ha sottolineato come sia necessario scindere la vita di Scotellaro in due tronconi. Il primo è quello che precede la sua vita da amministratore tricaricese: il giovane Rocco si è formato negli anni del fascismo, avvicinandosi agli ideali delle strategie della Resistenza. Ad appena vent’anni era già un intelletttuale compiuto: quando nel 1942 è tornato a Tricarico dopo aver studiato fuori la Basilicata, segnato pure dalla scomparsa del padre, ha deciso di istituire un rapporto con le classi meno abbienti, accorciando la forbice tra il suo essere colto e le fasce disagiate, senza però incorrere nel populismo.
Scotellaro non è stato affatto uno sprovveduto, ma si è rivelato consapevole delle sue scelte che lo hanno condotto a interloquire con i poveri, gli oppressi e i contadini. «Gli intellettuali devono sedere al tavolo della storia, devono dare un contributo senza paternalismi. Anche le masse popolari hanno una loro cultura: gli intellettuali devono avere il ruolo di mediatori, permettendo l’ingresso dei contadini nella storia», è la riflessione di Gatto, il quale esalta in maniera obiettiva la capacità di ascolto di Scotellaro, la sua comprensione del fatto che ogni contadino è diverso dall’altro, «Il mondo contadino non è un blocco marmoreo, ma è una somma di identità. La risoluzione dei suoi problemi necessita di dedizione e non solamente di categorie poetiche».
Scotellaro si è cimentato in vere e proprie inchieste, volte alla comprensione dei luoghi che, a loro volta, sono diventati presupposti di autoverifica. «Stare dalla parte dei vinti. Le rivoluzioni si fanno per i morti. Rocco ha tentato di ricomporre l’estrema differenza geografica e fisica, distinguendo peraltro tra questione dei contadini e questione bracciantile».
Il secondo troncone della vita di Scotellaro è quello che va dal 1946 in poi, dal suo essere Sindaco, al carcere fino alla morte. Come primo cittadino, Rocco ha realizzato principalmente tre aspetti del suo programma politico: puntare all’alfabetizzazione radicale di tutti gli abitanti di Tricarico, istituire un consiglio di quartiere e preoccuparsi della sanità pubblica con la costruzione di un ospedale civile. Nel dopoguerra, infatti, si moriva sopratutto di malaria e tubercolosi e il nosocomio più vicino si trovava a Matera, a circa settanta chilometri.
Per la sua ottima conoscenza del greco, Scotellaro era soprannominato «il grecista di Tricarico». La massa popolare riconosceva in lui una personalità culturalmente elevata, ma non per questo il dialogo era negato. Scotellaro è riuscito a superare il luogo comune per cui l’intellettuale si circoscrive a una dimensione astratta che poco ha a che fare con la realtà concreta.
Nella quotidianità di Scotellaro è centrale il ruolo della mamma Francesca Armento con la quale si era instaurato un rapporto a tratti conflittuale. È stata una donna forte e acculturata rispetto al suo ambiente di estrazione: da scrivana, scriveva con altruismo per gli altri, cioè per far comunicare i compaesani con i cari partiti in guerra o i lavoratori nelle miniere. Lo stretto legame tra madre e figlio è stato ben sviscerato nello spettacolo teatrale “Rocco Scotellaro – Sulla mia terrazza il cielo era immenso”: titolo estratto dal romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”.
La pièce è stata già portata in scena anche ad agosto 2022 ad Aliano, nei pressi della casa di Levi, durante una delle giornate del “Festival della paesologia” del poeta Franco Arminio. «Attraverso la performance di Fracesco Siliberto, nelle vesti di Rocco Scotellaro, e di Roberta Marini, nei panni della madre Francesca Armento, abbiamo cercato di rimettere al centro dell’attenzione la questione meriodinale, in modo da attualizzare le tematiche e ambire al riscatto del Sud», commenta Diego A. Dantes che si è occupato della stesura dei testi sotto la regia di Antonio Duma.
Per trasmettere lo spirito coraggioso di Rocco e il dolore inaffievolibile della madre per aver perso il figlio a soli trent’anni, sono stati letti in fase di preparazione una ventina di libri, da cui si è evinta una corposa produzione nella letteratura, inchiesta, saggistica e diaristica. «Rocco era buono, bravo, caritatevole. Tutto il popolo l’ha pianto. Lui è andato a godere l’altro mondo», è uno stralcio del soliloquio dell’attrice nell’interpretare Francesca Armento.
Dopo aver patito quarantacinque giorni di carcere per i reati di truffa, corruzione e associazione a delinquere, Rocco Scotellaro è stato assolto con formula piena per l’infondatezza dei capi d’accusa. Anche nella sua relazione con i detenuti, ha svolto il ruolo di «mediatore», cogliendo a pieno l’umanità che si cela dietro ogni misfatto. La detenzione ha segnato la vita di Rocco: si è allontanato dalla vita politica, non rinunciando però all’essere solidale verso chi viene abbandonato nelle retrovie.
Stroncato da un infarto, Scotellaro non ha potuto portare a termine le sue opere di scrittura, non riuscendo nemmeno a esprimere tutto il restante potenziale che aveva da offrire. Ad oggi, lo si ricorda anche per aver reinterpretato il tema della «subalternità del Meridione». Lo evidenzia Pasquale Vitagliano, presidente di “È fatto giorno aps”, «L’insegnamento è riscoprire l’identità meridionale, con l’auspicio di uscire dal provincialismo e dal sentirsi subalterni. Noi del Meridione possiamo fare rete».
Un omaggio è stato rivolto da Lina Scotellaro, nipote di Rocco, che è intervenuta con una telefonata nel corso del Festival. «Capiterà l’occasione di venire a Terlizzi per salutare tutti gli amici che si ispirano a mio zio. Mia nonna Francesca è stata una donna meravigliosa: grazie a lei siamo cresciuti con le idee di zio Rocco che sono tuttora attuali. L’abbiamo sempre ricordato come “una grande pulce rossa”, per il colore dei suoi capelli».