Addio al sociologo Domenico De Masi

L’associazione “È fatto giorno aps” dedica l’ultimo saluto al professor Domenico De Masi, scomparso alla venerabile età di ottantacinque anni nella giornata di sabato 9 settembre.
L’importante sociologo è stato un graditissimo ospite durante l’XI edizione del “Festival per la legalità”, quando il 18 ottobre 2022, all’interno di una gremita pinacoteca De Napoli, ha relazionato sul suo saggio “La felicità negata”.
Si ricorda con estremo piacere la corposa dissertazione, una vera e propria «lectio magistralis» sulle trasformazioni della società.
Accogliamo l’idea alla base del suo pensiero: dedicarsi alla cultura è uno dei rimedi salvifici per rendere le proprie giornate dense di contenuto nelle ore in cui non si è impegnati con le mansioni lavorative.

Chiusura del “Festival per la legalità” con l’impegno civico di Giuseppe Antoci e Paolo Borrometi

«Bisogna attivare la scelta, nel senso di scegliere da che parte stare» è la frase chiave del quarto incontro della dodicesima edizione del “Festival per la legalità” che lo scorso mercoledì, 28 giugno, ha visto interfacciarsi col pubblico due testimoni di legalità, di origine siciliana, fra i più scortati d’Italia: Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi in Sicilia, e il giornalista d’inchiesta Paolo Borrometi. Ogni giorno fanno i conti col mettere a rischio la propria vita pur di contrastare a voce alta la mafia: nonostante gli attentati dai quali sono miracolosamente usciti indenni, affermano in maniera assertiva che «Noi non rallentiamo i nostri movimenti. Continuiamo a girare. Raccontiamo chi sono loro e chi siamo noi, non lasciandoci terrorizzare dal fare nomi e cognomi».

La missione di Antoci e Borrometi è quella di gettare semi di speranza, affinché possano crescere radici in un terreno di valori. «La mafia si batte con i valori e non soltanto con le manette». Centrale il sentimento di paura che appare quale altra faccia della medaglia del coraggio: Antoci e Borrometi condividono telefonate notturne in cui piangono, poiché si sentono reciprocamente accolti e capiti quando le intimidazioni si fanno feroci.

Borrometi spiega che ci sono tre modi per annientare l’esistenza di un uomo: attraverso le minacce, isolandolo con le diffamazioni e uccidendolo fisicamente. Se la morte fisica, però, avviene soltanto una volta, al contrario quella del proprio “io interiore” accompagna in ogni istante. «Un altro modo per morire è guardarsi allo specchio e sentirsi sporco. Il perno ruota intorno al “cosa vuoi fare di te stesso”», chiosa Antoci che con decisione asserisce che «Chi fa l’amministratore lo deve fare con la schiena dritta».

Per quanto siano importanti per il loro denso valore simbolico, le commemorazioni vanno supportate da azioni concrete grazie a valide normative. Il “Protocollo di legalità Antoci” ha valenza nazionale, poiché è stato inserito nel Codice Antimafia: la stesura del testo legislativo è costata cara ad Antoci, che ha visto sottoporre pure le sue figlie a importanti misure di sicurezza a tutela della loro integrità.

«La vera rivoluzione sta nel metterci la faccia, persino nell’estremo sacrificio», osserva Borrometi che, tuttavia, retoricamente chiede, «In questo Paese per fare il proprio dovere, bisogna per forza correre il rischio di venire ammazzati?». Si rende necessario, dunque, addestrarsi a «una coscienza che lotta». Le vittime dei morti di mafia sono assetate di verità e non di vendetta: vogliono comprendere gli oscuri meccanismi che hanno depistato dal giungere a risposte certe e incontrovertibili.

La vivace e combattiva verve di Antoci e Borrometi ha catalizzato l’attenzione del pubblico: è dirimente godere di «credibilità», cosicché anche l’uditorio possa maturare dentro di sé la consapevolezza di dover contribuire allo smascheramento dei sistemi anti-Stato e al miglioramento della società. «Se perdiamo pezzi di Paese, li regaliamo a loro. Facciamo parte di una grande squadra che è lo Stato».

Il dialogo è stato ulteriormente arricchito dall’intervento di Don Ciro Miele, teologo e giornalista, che si definisce un «prete volutamente fuori dalle righe». La sua dissertazione, effettivamente, è stata connotata da tratti innovativi: obiettività e spirito critico hanno colto aspetti delle condotte del clero non sempre in sintonia con i principi sbandierati.

«Occorre chiedere perdono per i peccati di omertà commessi dalla Chiesa. Talvolta il potere religioso ha utilizzato la paura per indurre alla sottomissione», evidenzia senza timore Don Ciro che annovera anche un’esperienza accademica come docente di teologia fondamentale ed ecumenismo.

Per Don Ciro diventa una prerogativa «riscoprire la bellezza dell’uomo e innamorarsi dell’umanità nella normalità della vita». Egli, peraltro, si sente «meno mosca bianca» grazie all’unica figura che, ad oggi, parrebbe essere quella più rivoluzionaria, Papa Francesco.

Comunicato “Amministratori sotto assedio”

Si concluderà mercoledì prossimo, 28 giugno, la XII edizione del “Festival per la legalità” con il quarto appuntamento dedicato ad “Amministratori sotto assedio”: ci si focalizzerà sulla crescente preoccupazione nei confronti delle istituzioni pubbliche che talvolta subiscono incursioni dalla criminalità organizzata.

L’associazione terlizzese “È fatto giorno aps” ha organizzato per il pubblico un incontro di alto taglio culturale attraverso l’analisi di questioni estremamente attuali. Nella sala conferenze della pinacoteca “Michele de Napoli” saranno ospiti figure di spessore che quotidianamente affrontano a testa alta le brutture mafiose, non lasciandosi intimidire da minacce o attentati perpetrati ai loro danni.

Il cuore pulsante per la legalità appartiene, innanzitutto, a Giuseppe Antoci, già presidente del Parco dei Nebrodi in Sicilia, e autore del libro, insieme al giornalista Nuccio Anselmo, “La mafia dei pascoli. La grande truffa all’Europa e l’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi” (ed. Rubbettino). Con coraggio e determinazione, ha contrastato col supporto delle istituzioni le organizzazioni criminali che, con metodi apparentemente legali, sfruttavano a proprio vantaggio le leggi agricole e i contributi dell’Unione Europea, appropriandosi così di numerosi ettari di terreno. Con l’ausilio di specialisti, Antoci ha steso il “Protocollo di legalità”, confluito poi nel nuovo Codice Antimafia, volto a impedire, tra gli altri aspetti, l’uso di false autocertificazioni antimafia.

Non si sono fatte attendere le ritorsioni da parte dei clan che hanno comportato per Antoci la necessità di vivere sotto scorta. Le misure di protezione si sono rivelate necessarie anche per Paolo Borrometi, giornalista d’inchiesta e scrittore. Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2023, “Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana” (ed. Solferino), si può definire “amaro e coraggioso”, poiché si concentra sulle verità nascoste, i depistaggi e le connessioni tra la malavita e alcuni settori dello Stato italiano: dallo sbarco in Sicilia nel 1943 fino ai tempi moderni, con particolare attenzione al boss Matteo Messina Denaro, arrestato dai Carabinieri del Ros lo scorso marzo dopo trent’anni anni di latitanza.

Don Ciro Miele, infine, teologo e giornalista, condividerà la sua esperienza di ventotto anni di sacerdozio, discutendo del ruolo dell’etica e della morale nel contrastare l’influenza della mafia e della corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Attualmente opera a Caselvecchio, un paese di quasi duemila abitanti nell’entroterra foggiano.

L’evento, che comincerà dalle ore 19, sarà moderato dalla giornalista Cinzia Urbano.

L’iniziativa è stata promossa con il patrocinio sia del Comune di Terlizzi sia della Fondazione Vincenzo Casillo e realizzata con i fondi “Otto per Mille” della Chiesa Valdese.

Rocco Scotellaro al centro della due giorni del “Festival per la legalità”

Nel doppio anniversario del centenario della sua nascita e del settantesimo anno della sua morte, la XII edizione del “Festival per la legalità” ha omaggiato con due eventi tra loro complementari la breve e intensa esistenza di Rocco Scotellaro«mentore» dell’associazione “È fatto giorno aps”.

Il convegno in pinacoteca “Michele de Napoli” e la performance teatrale nella campagna “Alle S.E.R.R.E.” della cooperativa sociale Zorba hanno approfondito a tutto tondo la figura di un giovane uomo originario di Tricarico, piccolo paese della Basilicata, che condensava al proprio interno la figura dell’intellettuale, del politico e del letterato.

La due giorni scotellariana ha attratto nella platea curiosi e personalità di rilievo, giunti anche dall’hinterland di Ruvo, Andria, Bisceglie e Trani. Una sorta di «festa civile», dunque, con una immersione totale nelle attività e nei pensieri di Scotellaro che hanno consentito di apprezzarne gli alti valori e di catturarne lo stato di umiliazione che ha dovuto affrontare.

Marco Gatto, ricercatore di filologia all’università della Calabria, e Alessandra Pigliaru, giornalista de “Il Manifesto”, nella serata di sabato 17 giugno, hanno tentato di «ripoliticizzare» la persona di Scotellaro, ossia «ristoricizzarla», emancipandolo dall’icona del mero poeta-contadino per restituire la sua militanza in tutta la sua complessità. La ricostruzione della vita di Scotellaro ha subito negli anni alti e bassi, a momenti di studio sono seguiti periodi di oblio. Ad oggi, invece, attraverso visite nei diversi archivi italiani, ci si sta spendendo per un lavoro di sistematizzazione degli scritti ancora inediti e della numerosa corrispondenza con emblemi del Novecento.

Nato nel 1923 da Francesca Armento, scrivana e sarta, e Vincenzo Scotellaro, calzolaio, Rocco ha frequentato tre licei classici, a Matera, a Potenza, e a Trento. A vent’anni ha scritto il suo primo romanzo breve, “Uno si distrae al bivio”, mostrando tecniche di scrittura del modernismo europeo che aspiravano a dotarsi di una propria autonomia. A soli ventitré anni, nel 1946, Rocco da candidato del partito socialista di unità proletaria ha vinto le elezioni amministrative, così da indossare la fascia tricolore di Sindaco di Tricarico.

Con una comunicazione efficace ed efficiente, Marco Gatto, alla prima presentazione del suo saggio a Terlizzi – “Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta” (Carocci editore) – ha sottolineato come sia necessario scindere la vita di Scotellaro in due tronconi. Il primo è quello che precede la sua vita da amministratore tricaricese: il giovane Rocco si è formato negli anni del fascismo, avvicinandosi agli ideali delle strategie della Resistenza. Ad appena vent’anni era già un intelletttuale compiuto: quando nel 1942 è tornato a Tricarico dopo aver studiato fuori la Basilicata, segnato pure dalla scomparsa del padre, ha deciso di istituire un rapporto con le classi meno abbienti, accorciando la forbice tra il suo essere colto e le fasce disagiate, senza però incorrere nel populismo.

Scotellaro non è stato affatto uno sprovveduto, ma si è rivelato consapevole delle sue scelte che lo hanno condotto a interloquire con i poveri, gli oppressi e i contadini. «Gli intellettuali devono sedere al tavolo della storia, devono dare un contributo senza paternalismi. Anche le masse popolari hanno una loro cultura: gli intellettuali devono avere il ruolo di mediatori, permettendo l’ingresso dei contadini nella storia», è la riflessione di Gatto, il quale esalta in maniera obiettiva la capacità di ascolto di Scotellaro, la sua comprensione del fatto che ogni contadino è diverso dall’altro, «Il mondo contadino non è un blocco marmoreo, ma è una somma di identità. La risoluzione dei suoi problemi necessita di dedizione e non solamente di categorie poetiche».

Scotellaro si è cimentato in vere e proprie inchieste, volte alla comprensione dei luoghi che, a loro volta, sono diventati presupposti di autoverifica. «Stare dalla parte dei vinti. Le rivoluzioni si fanno per i morti. Rocco ha tentato di ricomporre l’estrema differenza geografica e fisica, distinguendo peraltro tra questione dei contadini e questione bracciantile».

Il secondo troncone della vita di Scotellaro è quello che va dal 1946 in poi, dal suo essere Sindaco, al carcere fino alla morte. Come primo cittadino, Rocco ha realizzato principalmente tre aspetti del suo programma politico: puntare all’alfabetizzazione radicale di tutti gli abitanti di Tricarico, istituire un consiglio di quartiere e preoccuparsi della sanità pubblica con la costruzione di un ospedale civile. Nel dopoguerra, infatti, si moriva sopratutto di malaria e tubercolosi e il nosocomio più vicino si trovava a Matera, a circa settanta chilometri.

Per la sua ottima conoscenza del greco, Scotellaro era soprannominato «il grecista di Tricarico». La massa popolare riconosceva in lui una personalità culturalmente elevata, ma non per questo il dialogo era negato. Scotellaro è riuscito a superare il luogo comune per cui l’intellettuale si circoscrive a una dimensione astratta che poco ha a che fare con la realtà concreta.

Nella quotidianità di Scotellaro è centrale il ruolo della mamma Francesca Armento con la quale si era instaurato un rapporto a tratti conflittuale. È stata una donna forte e acculturata rispetto al suo ambiente di estrazione: da scrivana, scriveva con altruismo per gli altri, cioè per far comunicare i compaesani con i cari partiti in guerra o i lavoratori nelle miniere. Lo stretto legame tra madre e figlio è stato ben sviscerato nello spettacolo teatrale Rocco Scotellaro – Sulla mia terrazza il cielo era immenso”: titolo estratto dal romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”.

La pièce è stata già portata in scena anche ad agosto 2022 ad Aliano, nei pressi della casa di Levi, durante una delle giornate del “Festival della paesologia” del poeta Franco Arminio. «Attraverso la performance di Fracesco Siliberto, nelle vesti di Rocco Scotellaro, e di Roberta Marini, nei panni della madre Francesca Armento, abbiamo cercato di rimettere al centro dell’attenzione la questione meriodinale, in modo da attualizzare le tematiche e ambire al riscatto del Sud», commenta Diego A. Dantes che si è occupato della stesura dei testi sotto la regia di Antonio Duma.

Per trasmettere lo spirito coraggioso di Rocco e il dolore inaffievolibile della madre per aver perso il figlio a soli trent’anni, sono stati letti in fase di preparazione una ventina di libri, da cui si è evinta una corposa produzione nella letteratura, inchiesta, saggistica e diaristica. «Rocco era buono, bravo, caritatevole. Tutto il popolo l’ha pianto. Lui è andato a godere l’altro mondo», è uno stralcio del soliloquio dell’attrice nell’interpretare Francesca Armento.

Dopo aver patito quarantacinque giorni di carcere per i reati di truffa, corruzione e associazione a delinquere, Rocco Scotellaro è stato assolto con formula piena per l’infondatezza dei capi d’accusa. Anche nella sua relazione con i detenuti, ha svolto il ruolo di «mediatore», cogliendo a pieno l’umanità che si cela dietro ogni misfatto. La detenzione ha segnato la vita di Rocco: si è allontanato dalla vita politica, non rinunciando però all’essere solidale verso chi viene abbandonato nelle retrovie.

Stroncato da un infarto, Scotellaro non ha potuto portare a termine le sue opere di scrittura, non riuscendo nemmeno a esprimere tutto il restante potenziale che aveva da offrire. Ad oggi, lo si ricorda anche per aver reinterpretato il tema della «subalternità del Meridione». Lo evidenzia Pasquale Vitagliano, presidente di “È fatto giorno aps”, «L’insegnamento è riscoprire l’identità meridionale, con l’auspicio di uscire dal provincialismo e dal sentirsi subalterni. Noi del Meridione possiamo fare rete».

Un omaggio è stato rivolto da Lina Scotellaro, nipote di Rocco, che è intervenuta con una telefonata nel corso del Festival. «Capiterà l’occasione di venire a Terlizzi per salutare tutti gli amici che si ispirano a mio zio. Mia nonna Francesca è stata una donna meravigliosa: grazie a lei siamo cresciuti con le idee di zio Rocco che sono tuttora attuali. L’abbiamo sempre ricordato come “una grande pulce rossa”, per il colore dei suoi capelli».

Comunicato Spettacolo “Sulla mia terrazza il cielo era immenso”

“Rocco Scotellaro – Sulla mia terrazza il cielo era immenso”
Scritto da Diego Dantes
Con Roberta Marini e Francesco Siliberto
Regia di Antonio Duma
Una produzione We Lab con Teatro Dantès – Art Factory
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Nel dopoguerra Rocco Scotellaro vide nel Partito Socialista Italiano il mezzo ideale per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei contadini. Partecipò attivamente all’occupazione delle terre incolte di proprietà dei latifondisti e fu tra i maggiori promotori della riforma agraria del Sud e in modo particolare della Basilicata.
Questa storia è cristallizzata nel lavoro puntuale di Diego Dantes, in cui viene a galla la personalità e le battaglie portate avanti dal politico, scrittore e poeta Rocco Scotellaro.
Scotellaro fu anche profondo conoscitore delle problematiche del mondo contadino della Puglia.
Questo lavoro ci restituisce tutta la passione, la forza e la dedizione di un uomo verso la classe contadina che aspettava da troppo tempo quelle riforme promesse e mai realizzate fino ad allora.
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Seguirà dibattito post spettacolo con:
– Pasquale Vitagliano
– Diego Dantes

Appuntamento per Domenica 18 Giugno 2023, ore 19.00, presso Alle SERRE ( posizione https://goo.gl/maps/LTuSXTZmX3PKPBwM7 )
Ingresso gratuito.

Iniziativa promossa nell’ambito della XII Edizione del Festival per la Legalità “Leggere i Diritti”, con il Patrocinio del Comune di Terlizzi, il Patrocinio di Fondazione Vincenzo Casillo e realizzato con i fondi Otto per Mille Valdese . 

Comunicato “Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta”

Dopo aver dedicato l’appuntamento di apertura della dodicesima edizione del 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ a un impegnativo approfondimento sulla strage mafiosa di Pizzolungo, commessa nel 1985 per mano di Cosa Nostra, questo sabato 17 giugno, invece, si affronterà il focus su Rocco Scotellaro attraverso la presentazione del libro “𝑹𝒐𝒄𝒄𝒐 𝑺𝒄𝒐𝒕𝒆𝒍𝒍𝒂𝒓𝒐 𝒆 𝒍𝒂 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒎𝒆𝒓𝒊𝒅𝒊𝒐𝒏𝒂𝒍𝒆. 𝑳𝒆𝒕𝒕𝒆𝒓𝒂𝒕𝒖𝒓𝒂, 𝒑𝒐𝒍𝒊𝒕𝒊𝒄𝒂, 𝒊𝒏𝒄𝒉𝒊𝒆𝒔𝒕𝒂” (Carocci editore).

Il secondo incontro si soffermerà, dunque, sulla figura del sindaco socialista di Tricarico nel dopoguerra, il quale è stato detenuto in carcere per quarantaquattro giorni per reati, come è stato poi accertato, mai compiuti. Nel settembre 2021, nel corso del decimo anniversario del Festival, l’associazione “È fatto giorno aps” ha consegnato simbolicamente a Rocco Scotellaro la targa “Eroi borghesi” per il coraggio maturato durante la sua breve vita nell’affrontare le difficoltà all’insegna di nobili ideali: è scomparso, infatti, prematuramente nel 1953 a soli trent’anni.

L’evento si svolgerà in pinacoteca “Michele de Napoli” a partire dalle ore 19. Saranno ospiti 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐨 𝐆𝐚𝐭𝐭𝐨, ricercatore presso il Dipartimento di Filologia dell’Università della Calabria, nonché autore del libro sopracitato, e 𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐏𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐫𝐮, giornalista de “Il Manifesto”. Introdurrà la serata 𝐃𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢, componente dell’associazione terlizzese.

L’iniziativa è promossa dall’Associazione É FATTO GIORNO APS con i patrocini del Comune di Terlizzi e della fondazione “Vincenzo Casillo” e realizzata con i fondi “Otto per Mille” della Chiesa Valdese.

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Nino De Sario, Testimone di Legalità

Un momento di commemorazione è stato dedicato al vigile urbano Nino De Sario nel corso del primo appuntamento della dodicesima edizione del Festival per la legalità, venerdì 9 giugno scorso.

Scomparso all’età di settant’anni lo scorso 20 agosto 2022, De Sario rimase ferito il 7 maggio 1993, quando venne fatta esplodere un’autobomba davanti a Palazzo di Città a Terlizzi, in piazza IV Novembre.

Durante l’incontro incentrato sulla strage mafiosa di Pizzolungo del 1985, l’associazione “È fatto giorno aps” ha celebrato la memoria del compianto cittadino, dall’animo onesto e nobile, insieme a sua moglie Lia Grassi: «Sono onorata di essere stata invitata a presenziare. Nino ha sempre avuto la divisa nel cuore. È stato un galantuomo con un animo generoso e leale», è stato il pensiero di Lia, visibilmente emozionata.

La Strage di Pizzolungo raccontata da Margherita Asta e Carlo Palermo

Sono trascorsi trentotto anni dalla strage mafiosa di Pizzolungo, nel trapanese, ma il racconto di Margherita Asta Carlo Palermo rimane toccante, mentre lasciano scivolare lacrime di commozione. Il primo appuntamento del “Festival per la legalità” di venerdì 9 giugno ha cercato di scandagliare l’attentato dinamitardo attraverso un’analisi dei fatti pubblici e privati sotto la lente di un’atroce sofferenza con la quale si convive ogni giorno.

Margherita Asta ha perso tragicamente a dieci anni la mamma trentenne Barbara Rizzo e i suoi fratellini di sei anni, Giuseppe e Salvatore, perché per una fatalità la vettura sulla quale viaggiavano si è frapposta fra quella in cui era presente il magistrato Carlo Palermo e l’autobomba. «So che mamma e i gemellini Giuseppe e Salvatore sono morti in un istante. Col tempo ho cercato di dare un senso al dolore che continuo a provare incessantemente: accogliere questo dolore significa avere un motivo per sopravvivere e andare avanti».

Le parole di Asta sono una fitta al cuore. «Qualcuno deve pur salvaguardare la storia e la memoria. Quella di Pizzolungo è una strage che non viene ricordata. Ci si è dimenticati di citarla finanche quando è stato arrestato lo scorso marzo Matteo Messina Denaro». Risulta, dunque, difficile mantenere i riflettori accesi su una vicenda così drammatica, sfuggendo i motivi di una tale marginalizzazione.

Asta ha trovato un modo per elaborare il suo dramma confluendo le energie in Libera, l’associazione contro le mafie, come referente del settore “Memoria” per l’area italiana centro nord. Fare testimonianza è espressione di un senso del dovere verso la collettività, nonché una modalità terapeutica per non chiudersi in se stessa e riflettere sul perché lei, per pura casualità, sia rimasta in vita, non avendo accompagnato la mamma quel maledetto 2 aprile 1985.

I destini di Margherita Asta e Carlo Palermo sono, dunque, uniti indissolubilmente da quasi quarant’anni. Poco più che bambina, Asta provava molta rabbia verso l’allora pubblico ministero, individuando in lui la causa della distruzione della sua famiglia; con la maturità, ha compreso che Palermo fa i conti con un pesante senso di colpa. Camminano insieme per la ricerca della verità. «Deve essere ancora più devastante del morire per Palermo convivere con quelle immagini indelebili che gli scorrono continuamente davanti agli occhi».

«Minacce inenarrabili». Carlo Palermo, per via delle sue indagini sul traffico di droga e di armi, è stato bersaglio di Cosa Nostra: fallito l’attentato nei suoi confronti, la mafia siciliana ha continuato a perseguitarlo. Le misure di scorta sono state tra le più numerose possibili, capitando raramente che un magistrato sia sopravvissuto a una strage.

Nonostante tutto, per Palermo, comprendere gli intricati meccanismi resta un obiettivo da conseguire sino alla fine. L’essere sfuggito alla morte di Pizzolungo ha comunque segnato un drastico cambio di esistenza. Svestiti i panni del magistrato e indossati quelli dell’avvocato e del politico, Palermo ha cominciato a indagare in veste privata, con maggiori ostacoli da affrontare, non potendo contare su una serie di strumenti di lavoro che sono destinati ai magistrati.

Sembra che il sistema voglia mettere a tacere la voce di Palermo e le sue ricostruzioni che individuano un direttorio internazionale in cui confluiscono la mafia, la massoneria e i servizi segreti. «La strage di Pizzolungo è dimenticata volontariamente, perché le mie tesi sostengono qualcosa in più, come una matrice superiore massonica che si incentra sulla segretezza del rapporto», commenta Palermo, in una voce tendenzialmente ferma che governa un dilaniato foro interiore, «I magistrati oggi continuano a lavorare su determinate ipotesi di reato: per loro è difficile discostarsi dall’impostazione tradizionale allargando gli orizzonti a confini di più ampio respiro nazionale e internazionale».

All’esito di molteplici processi su Pizzolungo, risultano condannati in via definitiva i mandanti, ma gli esecutori materiali sono stati assolti. Ad oggi, dunque, sono a piede libero. Palermo persevera nelle sue opere di raccolta di documenti e di studio per interpretare i collegamenti tra le varie vicende del passato che si ripercuotono nel presente. Il suo impegno è volto a pretendere un atto di scioglimento della loggia massonica da parte di una politica sinora inerte.

«Chiedere di scrivere il diritto alla verità» è l’appello di Daniela Marcone, vicepresidente di Libera, segnata anche lei dall’omicidio di suo padre Francesco, ammazzato da un gruppo di colletti bianchi appartenenti alla criminalità foggiana. Anche in questo caso, purtroppo le indagini si sono concluse con un nulla di fatto, sfociate in archiviazione. «Conosco solamente dei pezzi sulla morte di mio padre, ma mai mi sarei immaginata di dover lottare per ottenere giustizia».

È speciale il rapporto di Marcone con Asta, trovandosi a condividere la memoria dei loro familiari. «Io sopravvivo al dolore di una sola persona, Margherita a quello di tre. Mi sono sempre domandata come sia possibile gestire tutto questo patema», si apre col pubblico Marcone, «Con Margherita passiamo dalle lacrime alle risate. La dimensione umana è totale. Pensavo che Margerita fosse lacerata da una rabbia monopolizzante e invece il suo senso di umanità è stemperato dalla speranza e mai dalla rassegnazione».

L’assassinio rientra tra i «fatti umani»: chi ha ucciso è un uomo, non un mostro. Proprio per questo «non si può parlare di perdono, bensì di umanità, per la quale chiedo verità», conclude Daniela Marcone.

Comunicato “Dove tutto è cominciato: la Strage di Pizzolungo”

Taglio del nastro questa sera, venerdì 9 giugno, per la XII edizione del “Festival per la legalità” dell’associazione “È fatto giorno aps”. “Dove tutto è cominciato: la Strage di Pizzolungo” è la tematica dell’incontro che si terrà, a partire dalle ore 19, all’interno della pinacoteca “Michele de Napoli”.

Pizzolungo è una frazione del Comune di Erice nel trapanese, dove il 2 aprile 1985 si è consumato un attentato orchestrato da Cosa Nostra volto a colpire il magistrato Carlo Palermo: quest’ultimo rimase ferito, poiché al momento dell’esplosione dell’autobomba, la sua auto stava superando una vettura su cui si trovavano Barbara Rizzo di soli trent’anni e i suoi due piccoli gemelli, Salvatore e Giuseppe Asta. Mamma e bambini morirono immediatamente dilaniati, dal momento che il loro veicolo si frappose fra quello scortato del magistrato e l’altro fatto saltare in aria.

Si discorrerà, dunque, di quello che può essere simbolicamente indicato come il primo massacro che diede il via al periodo stragista mafioso, per poi analizzare quali sono gli scenari attuali in un intreccio tra mafia, massoneria, politica e oligarchie finanziarie.

Interverranno in un appuntamento davvero denso, dal punto di vista contenutistico ed emotivo, ben tre figure che hanno fatto della lotta alla mafia la ragione principale di vita: Margherita Asta, figlia di Barbara Rizzo e sorella dei fratellini, funzionario giudiziario presso il Tribunale di Parma, nonché referente del settore “Memoria” di Libera per l’area centro-nord; Daniela Marcone, familiare di vittima di mafia, vicepresidente di Libera e referente del settore “Memoria”; in collegamento web Carlo Palermo, magistrato e poi avvocato, nonché politico, bersaglio dell’attentato mafioso di Pizzolungo. Modererà l’incontro la giornalista Cinzia Urbano, affiancata nella conduzione da Pasquale Vitagliano, presidente dell’associazione “È fatto giorno aps”.

Nel corso dell’evento, un momento di commemorazione sarà dedicato al vigile urbano Nino De Sario: scomparso all’età di settant’anni lo scorso 20 agosto 2022, De Sario rimase ferito il 7 maggio 1993, quando venne fatta esplodere un’autobomba davanti a Palazzo di Città a Terlizzi, in piazza IV Novembre. Sarà celebrata la memoria del compianto cittadino, dall’animo onesto e nobile, insieme a sua moglie Lia Grassi.

Iniziativa promossa nell’ambito della XII Edizione del Festival per la Legalità “Leggere i Diritti”, con il Patrocinio del Comune di Terlizzi, il Patrocinio di Fondazione Vincenzo Casillo e realizzato con i fondi Otto per Mille Valdese

12. Leggere i Diritti

Con ben quattro appuntamenti nel mese di giugno, giunge alla sua dodicesima edizione il 𝗙𝗲𝘀𝘁𝗶𝘃𝗮𝗹 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗮 𝗟𝗲𝗴𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀ dell’associazione “𝗘̀ 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗔𝗽𝘀”. Tre convegni e uno spettacolo teatrale riempiranno il cartellone che si incentra sulla tematica di “𝙇𝙚𝙜𝙜𝙚𝙧𝙚 𝙞 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙞”.

Si comincia venerdì 9 giugno, a partire dalle ore 19 in pinacoteca “Michele de Napoli”, con un approfondimento su “𝑫𝒐𝒗𝒆 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒆̀ 𝒄𝒐𝒎𝒊𝒏𝒄𝒊𝒂𝒕𝒐: 𝒍𝒂 𝑺𝒕𝒓𝒂𝒈𝒆 𝒅𝒊 𝑷𝒊𝒛𝒛𝒐𝒍𝒖𝒏𝒈𝒐”. Quattro gli ospiti della serata: 𝗠𝗮𝗿𝗴𝗵𝗲𝗿𝗶𝘁𝗮 𝗔𝘀𝘁𝗮, familiare di vittime di mafia della strage di Pizzolungo, nonché referente del settore “Memoria” di Libera per l’area centro-nord; 𝗗𝗮𝗻𝗶𝗲𝗹𝗮 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗼𝗻𝗲, vicepresidente di Libera e referente del settore “Memoria”; 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗼 𝗠𝗲𝘀𝘀𝗶𝗻𝗮, magistrato; infine, 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗼 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼 avvocato ed ex magistrato, autore del libro “La Bestia” (ed. Sperling & Kupfer). Modererà la giornalista 𝗖𝗶𝗻𝘇𝗶𝗮 𝗨𝗿𝗯𝗮𝗻𝗼.

Sabato 17 giugno, invece, all’interno della pinacoteca, dalle ore 19, si affronterà il focus su Rocco Scotellaro attraverso la presentazione del libro “𝑹𝒐𝒄𝒄𝒐 𝑺𝒄𝒐𝒕𝒆𝒍𝒍𝒂𝒓𝒐 𝒆 𝒍𝒂 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒎𝒆𝒓𝒊𝒅𝒊𝒐𝒏𝒂𝒍𝒆” . Letteratura, politica, inchiesta” (Carocci editore). Sarà ospite 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐨 𝐆𝐚𝐭𝐭𝐨, ricercatore presso il Dipartimento di Filologia dell’Università della Calabria, nonché autore dell’opera. Dialogherà con lo scrittore 𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐏𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐫𝐮, giornalista de “Il Manifesto”. L’evento sarà allietato da un reading poetico.

Un ulteriore incontro su Rocco Scotellaro è previsto con lo spettacolo teatrale di domenica 18 giugno che sarà messo in scena nello spazio di “alle S.E.R.R.E.”, a partire dalle ore 19.30. Dal titolo “𝑹𝒐𝒄𝒄𝒐 𝑺𝒄𝒐𝒕𝒆𝒍𝒍𝒂𝒓𝒐 – 𝑺𝒖𝒍𝒍𝒂 𝒎𝒊𝒂 𝒕𝒆𝒓𝒓𝒂𝒛𝒛𝒂 𝒊𝒍 𝒄𝒊𝒆𝒍𝒐 𝒆𝒓𝒂 𝒊𝒎𝒎𝒆𝒏𝒔𝒐”. A cura di Teatro Dantès – Art Factory. La pièce è stata scritta da 𝐃𝐢𝐞𝐠𝐨 𝐀. 𝐃𝐚𝐧𝐭𝐞𝐬, con regia di 𝐀𝐧𝐭𝐨𝐧𝐢𝐨 𝐃𝐮𝐦𝐚 e interpretazione di 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐧𝐢 e 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐒𝐢𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨.

La rassegna di eventi si concluderà con una riflessione condivisa su “𝗔𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗮𝘀𝘀𝗲𝗱𝗶𝗼”, mercoledì 28 giugno, alle ore 19.00, nella sala conferenza della pinacoteca “de Napoli”. Interverranno tre figure di spessore: 𝗚𝗶𝘂𝘀𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗔𝗻𝘁𝗼𝗰𝗶, già presidente del Parco dei Nebrodi oltre che co-autore del libro “La mafia dei pascoli” (Rubbettino editore); 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗕𝗼𝗿𝗿𝗼𝗺𝗲𝘁𝗶, giornalista e scrittore, autore del libro “Traditori” (Solferino editore); 𝗗𝗼𝗻 𝗖𝗶𝗿𝗼 𝗠𝗶𝗲𝗹𝗲, teologo e giornalista. Modererà 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗼 𝗩𝗶𝗻𝗼, docente e scrittore.